Colonnello

Giovanni Guareschi scriveva sul “Candido” n.19 del 9 maggio 1948: «...A Finale Emilia si sono svolti i funerali del ten.col. Alberto Guzzinati che gli ex IMI (Internati militari italiani, ndr) ricordano per la sua fierezza. Anziano di campo nel Lager di Fallingbostel egli oppose al sopruso tedesco una irriducibilità sprezzante che gli procurò il rispetto di tutti. Perfino del nemico. È morto un valoroso soldato, ma i giornali hanno ancora tante cose da dire sugli amori clandestini di Hitler e così lo ricordiamo soltanto noi con queste poche scarne righe. Addio, Colonnello!».

Ma chi era questo finalese ricordato con tanto affetto dal creatore di Peppone e Don Camillo?

Classe 1898, fu comandante di gruppo del reggimento corazzato durante la Seconda Guerra Mondiale, fatto prigioniero dai tedeschi dopo la strenua difesa di Roma, sulla via Ostiense, il 10 settembre 1943 - durante la quale rimase gravemente ferito e che in seguito gli valse la Medaglia d’argento al Valor Militare – divenne il fiduciario dei militari italiani rinchiusi con lui nel campo di Fallingbostel ad Hannover. Terminato il conflitto fu nominato comandante della Scuola di Tor di Quinto che fece risorgere dalle rovine della guerra e riportò agli antichi fasti. Ricordato nell’albo d’oro tra i cavalieri vincitori della Coppa delle Nazioni, fu anche campione di Polo. E fu proprio durante una partita internazionale di questo sport, a Roma, che morì il 17 aprile del 1948.

Commovente la fotografia che lo ritrae, in tenuta da gioco, in sella al suo bellissimo cavallo bianco e che, qualche giorno prima della morte, egli inviò al fratello Antonio con una dedica che si rivelerà premonitrice: “Dopo l’ultima vittoria di Roma che forse è stato il mio canto del cigno! Alberto”.

Un bel ritratto di Alberto Guzzinati lo ha tracciato Piero Gigli nella rivista finalese “Il Punto” del marzo 1958. Articolo nel quale, l’autore chiedeva fosse dedicata a Guzzinati una via di Finale. Cosa che avvenne qualche tempo dopo (è la via in cui si trovava la caserma dei Carabinieri prima che fosse trasferita in via Bonacatti).

Scrive Gigli: «...era stato mio carissimo amico d’infanzia. Bel ragazzo, era svettato come un giovane pioppo ed io, che tardavo a crescere ed ero sgraziato nei movimenti, ammiravo l’armonioso ritmo dei suoi gesti. La mamma, la più elegante delle signore finalesi e di una bellezza romantica che sarebbe piaciuta al pittore Boldrini, lo volle ufficiale di cavalleria. Ci ritrovavamo nel periodo estivo, di ritorno dagli studi, sul campo improvvisato del football, sotto gli argini del Panaro e le sue belle falcate, gli scatti impulsivi di cavallo di razza, il suo italiano impeccabile e specialmente il suo sorriso affascinavano le adolescenti che si davano convegno ogni sera fra i platani che attorniavano il nostro regno (Guzzinati fu tra i fondatori del calcio finalese, come testimonia l’atto costitutivo – pubblicato in «F.C. Finale, cento anni di passione» - da lui firmato insieme al presidente Giovaninetti, al cassiere Tonino Bisi, Abbotoni e Magni e, probabilmente fu anche il primo «capitano» della formazione). La prima guerra mondiale ci disperse ai quattro venti. L’amico professor Carlo Grossi, la cui memoria è un mirabile congegno elettronico, mi precisa che nel bollettino militare del giugno 1915 apparvero tre promozioni di finalesi a sottotenente: la sua, di Alberto Guzzinati e di Amedeo Bonora. (...) sapemmo che dopo la guerra si era sposato, che era di stanza a Ferrara e conduceva una vita brillante fra belle donne e campi sportivi italiani ed esteri dove rappresentava i colori nazionali con affermazioni di rilievo a Bruxelles, Parigi, Praga, Budapest e Brioni. Fu in occasione di un concorso ippico, da lui organizzato a Finale, che riprendemmo contatto. Allora, ricordo, mi sedusse la sua audacia e la sua eleganza, e mi piacque il suo “ascoltarsi” mentre raccontava estrose fantasie alle signore che l’attorniavano. (...) Venne la seconda guerra mondiale, la caduta del fascismo, la dominazione tedesca, il terrore, l’Italia del Nord e del Sud, dei partigiani e dell’esercito di Salò, dei fucilati e degli impiccati. Alberto Guzzinati dopo il 25 luglio, di ritorno dalla Croazia era stato trasferito a Roma al comando di un reggimento corazzato. L’elegante ufficiale di cavalleria, il tipico esemplare sfottuto dai caricaturisti, il collezionista di trofei sportivi e di patacche da appuntare sul petto bene imbottito dai grandi sarti militari, il 10 settembre 1943 scrisse la sua pagina più luminosa di soldato: la difesa di Roma, sulla via Ostiense, contro i tedeschi. Nello sbandamento generale egli tenne in pugno il suo reparto e salvò l’onore dell’esercito italiano. Gravemente ferito, fatto prigioniero, a fronte alta varcò i reticolati di un campo di concentramento tedesco. Alcuni ufficiali finalesi, Lodi, Rossi e Casoni, gli furono compagni nell’esilio e dalle loro testimonianze balza chiara ed eroica la sua figura di intrepido soldato. (...) Dopo la vittoria degli alleati rientro in Italia e passò alcuni giorni a Finale. Ci abbracciammo commossi, ma non riuscii a farlo parlare della sua vita. Corazzato ormai contro ogni debolezza umana, mi sembrò anche più alto, distaccato dalle vanità che un tempo erano state il suo pane quotidiano. Stanco, ma di una stanchezza che non lasciava adito alla compassione. (...) Dopo un breve periodo di riposo fu nominato Comandante della Scuola di Tor di Quinto che fece risorgere dalle rovine della guerra e che riportò alle gloriose tradizioni ed alle antiche virtù. Nell’aprile del ’48 la morte lo colse in bellezza sul suo cavallo al galoppo, in una gara di polo. (...) Onori solenni furono resi alla sua salma. La stampa di tutta Italia e le più importanti riviste sportive esaltarono il suo valore. Lapidi alla Scuola di Tor di Quinto e nella sede reggimentale ora ne eternano il ricordo».